Breve resoconto del viaggio-vacanza di arrampicata nel cuore dell’iglesiente (e non solo), con la ottima compagnia di Valeria, Cristian e Simone. Giorni indimenticabili e luoghi che non possono mancare nel carnet dell’arrampicatore più esigente in fatto di estetica e paesaggi mozzafiato.
PRIMO GIORNO
Le previsioni meteo sembrano dare meteo piovoso sulla costa ovest, quindi da Cagliari – dove atterriamo in prima mattinata, decidiamo di dirigerci ad est. La location prescelta è la parete di “Jurassic Park”, su splendido granito arancione; ricordavo qualche report di Maurizio Oviglia su Planet Mountain circa questo luogo. Un rapido sguardo alla guida e siamo subito in viaggio verso Tortolì. Raggiungiamo Porto Santoru, proseguiamo un po’ lungo la sterrata che costeggia il mare, ma dopo un po’ capiamo che è tempo di mettersi in cammino sulle proprie gambe. L’avvicinamento richiede un’oretta, per fortuna provvidenziali ometti segnano il percorso una volta che si abbandona la sterrata. Già da lontano nel cielo si staglia il dito lungo il quale corre la via “Dillosauro” tracciata da E. Lecis nel 2002 circa e restaurata da M. Oviglia nel 2013; il tracciato originale ha subito una modifica a causa di una frana. Attualmente si sfrutta il primo tiro di “Stonosauro” e poi si devia a dx per raggiungere la sommità dell’esile colonna. Dopo un paio di tiri di riscaldamento, con Cristian decidiamo che è ora di andare, “Dillosauro” ci chiama!
Il primo è un tiro perfetto in un diedro perfetto che mi richiede doti acrobatiche non banali per venirne a capo senza volare. La seconda lunghezza conduce, obliquando verso dx, al dito sottile; con arrampicata che dire “aerea” è poco, giungo alla sommità, un pianerottolo di meno di un metro quadro.
La sensazione è bellissima, recupero Cristian che presto mi raggiunge in cima..felicissimi guardiamo il mare e l’esile colonna che ci sostiene. Il viaggio sembra essere iniziato alla grande!
SECONDO GIORNO
Percorrere la strada che da Iglesias conduce a Nebida e Masua è un viaggio di colori, orizzonti e mare…nonché un mare di roccia. La vista di quel tratto di costa è unica: ogni volta che ci passo non posso fare a meno di notare le innumerevoli auto accostate lungo le piazzole di sosta, di persone incantate da tanta bellezza, intente a fotografare o semplicemente ad ammirare il paesaggio mozzafiato. Oggi la destinazione è la scogliera di Porto Flavia che, con il suo dedalo di multipitch, rappresenta un must per ogni arrampicatore che ami il genere “vie a più tiri vista mare”. Davanti ci farà compagnia il faraglione del Pan di Zucchero, onnipresente – a ragione – in ogni depliant turistico della zona; tra l’altro sulle sue pareti ci sono vie del mitico Manolo, che vi girò anche video finiti nella pubblicità degli orologi della nota ditta Sector.
La via scelta da me e Veleria, in pieno stile plaisir, è quella che sembra stia diventando una delle classiche del settore, “Le grand Mammuth”. Lo sviluppo è di 150 m su 5 tiri, la chiodatura è sempre buona a fix inox, la distanza tra le protezioni sempre ragionevole; unico “appunto” su un paio di rinviaggi che mi sono parsi un po’ dubbi per la posizione da cui bisogna effettuarli; le soste sempre ottime su tre punti e tutte attrezzate per la calata in doppia. Modalità che sconsiglio visto il comodissimo sentiero geologico che in 20 piacevolissimi minuti riporta alla base del Pilastro dell’Italia Liberata.
A parte il primo tiro che risulta un po’ “banale” per bellezza di movimenti ed estetica, la restante parte è davvero godibile, sempre su roccia perfetta e con scorci visivi di notevole spessore. Consigliata quindi a chi è alla ricerca di una via “no stress”, dall’impegno tecnico molto contenuto e sicuramente remunerativa per le emozioni che regala.
TERZO GIORNO
Quelle torri baluardo sulla costa, come fossero antichi fari sulle scogliere bretoni, da tempo dimoravano nel mio cassetto dei desideri. La forza di internet è anche questa, quella di veicolare immagini tanto emotive da diventare una sorta di ossessione. La mia era quella di andare a visitare quello che, dalle descrizioni, sembrava essere un luogo unico: la scogliera granitica di Capo Pecora. Arrampicata trad su monotiri e multipitch, spesso su torrioni isolati, a due passi dal mare o mere propaggini della costa.
Abbiamo dato quindi un significato alla ferraglia imbarcata nella stiva dell’aereo e devo dire che ne è valsa la pena. Capo Pecora è un posto unico, potrei stare qui a descriverlo con i termini più ricercati, ma nessuna frase renderebbe l’esperienza che si vive andandoci. Una sensazione di isolamento, di “propaggine” ultima prima del mare infinito che ci ha pervasi non appena abbiamo lasciato l’auto nel parcheggio, laddove la strada termina. Il transito nella “Baia delle uova di dinosauro” (nome dovuto alla forma ovoidale dei sassi che ne ricoprono la spiaggia) ci catapulta in ere remote, tutto sembra allinearsi in un’ottica di distacco dalla civiltà, dal moderno, per entrare in una dimensione spazio-temporale lontana millenni.
E dopo poco eccolo lì, il “Big Ben”, uno dei settori principali del sito di scalata. Vento di maestrale “a manetta”, onde e spuma bianca a perdita d’occhio: riusciremo mai ad arrivarci alla base di quel pilastro? La “bibbia” dell’arrampicata in Sardegna recita perentoriamente, alla voce accesso, “indispensabile mare calmo”. Giornata perfetta quindi. Troppo determinati e forse stregati dal desistere, fingiamo un po’ tutti una fredda noncuranza per le apparenti avverse condizioni, rintracciamo gli ometti che scendono dalla sommità della costa alla base e saltellando sui massi giungiamo inaspettatamente alla base del “Big Ben”. Cerchiamo di orientarci ed individuare la “normale” a questa guglia..ad un primo sguardo sembra che questa volta il mare abbia vinto, acqua alta e mossa, ossia bagno ad inizio giornata.
Ma la determinazione la vince e quello che sembrava insuperabile si trasforma semplicemente in salti su massi in sincronia con la risacca. Ci siamo, eccoci alla base di questo esteticissimo spigolo; due tiri esposti ma su difficoltà assai limitate. La bellezza della linea fa perdonare la roccia non sempre buona; tutti e quattro arriviamo in cima e possiamo godere del bellissimo spettacolo. Con una doppia da 35m (si fa con corda da 70m ma prestare attenzione!!) a si ritorna agli zaini fermi alla base.
Con Cristian decido di salire il pilastro osservato durante tutto il tempo in cui recuperavo Valeria sulla “normale”; su quel pilastro corre la via “Never stop exploring”, due tiri total clean di cui il secondo segue una fessura dall’estetica perfetta.
Un vero viaggio, forse la linea più bella salita durante questa vacanza. Qualche info per chi volesse ripeterla: io l’ho salita con un singolo set di friend BD fino al 3, Totem cam ed un set di dadi; per una ripetizione più serena consiglio di portare anche un 4 BD e una buona dose di continuità! Facendo un po’ la tara con altre linee salite nel medesimo settore ritoccherei anche i gradi: L1 5c+/6a L2: 6b+. La seconda lunghezza è magnifica, ma sostenuta: inizia con una fessura da salire in Dulfer (friend 4 BD) al termine della quale si giunge ad una zona di svasi in cui è impossibile proteggersi.
Consiglio quindi di piazzare un paio di protezioni prima di riavviarsi per questa che è la sezione chiave del tiro (nut e friend piccolo). Poi leggermente sul margine sinistro, sempre su prese buone ma a volta rovesce, si giunge ad una nicchia accennata e da qui in traverso verso dx si raggiunge la sosta di “Il ventaglio segreto” da cui ci si cala in doppia.
Un paio di splendidi monotiri (“Onda lunga” e “L’orco sardo”, entrambi 5c, assai consigliati!) ed eccomi nuovamente, con Valeria, su una multipitch, “Rolling Stones”; questa mi ha colpito in particolare per l’estrema varietà di stili di scalata, dal diedro alla placca, alla fessura.
Bellissima anche questa e con una doppia nel vuoto terminiamo l’esperienza scalatoria in questo angolo di paradiso. Rientrando lentamente verso il parcheggio, ancora assorto dalle emozioni vissute, non posso non essere attratto dal tramonto rosso che sta infuocando il mare.
QUARTO GIORNO
Un altro luogo che mi era rimasto impresso – nei viaggi passati – per la sensazione di isolamento e selvaggia bellezza che mi aveva trasmesso è la scogliera di Pranu Sartu, presso Buggerru. Caratterizzata da vie corte alle quali si accede dall’alto di solito con 3 doppie, la propongo agli altri come tappa finale, per poterci incamminare verso l’aeroporto non troppo tardi.
Anche qui il buon Louis Piguet si è adoperato in un ciclopico lavoro di resinatura di gran parte degli itinerari, dotando le soste degli stessi di 3 punti di ancoraggio. Con Simone optiamo per “Riflessi magici” aperta nel 2000 dalla cordata Oviglia-Zurru-Mocci. Una via che parte a pelo d’acqua e in costante traverso verso sinistra si sviluppa per 135 metri lungo 5 tiri. Particolarmente belli il secondo e il quarto, dove non si può restare affascinati dalla qualità della roccia e dalle sue forme.
Terminate le vie ci concediamo un giro rilassante nel borgo di Buggerru, prima di riavviarci verso Cagliari dove ci aspetterà una lunghissima attesa per uno sciopero indetto dagli operatori Alitalia. Tuttavia il pieno di emozioni, colori e roccia da urlo saranno gli antidoti ad una notte praticamente insonne.
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