“DéjameQue yo no tengo la culpa de verte caer Si yo no tengo la culpa de ver queEntre dos tierras estásY no dejas aire que respirar Entre dos tierras estás Y no dejas aire que respirar”Lasciami stare, perché non ho colpa nel vederti caderesi, non ho colpa nel vederti cadere.Stai fra due mondie non lasci aria da respirare.Stai fra due mondie non lasci aria da respirare.Entre dos tierras – HEROES del SILENCIO
Vittorio Titane – multipitch a Cala Gonone
Via di cui si trovano pochissime ripetizioni in rete e per questo voglio fornire un po’ di informazioni a chi fosse interessato a salirla. Premessa: non è la via più bella della zona di Cala Gonone, ma probabilmente nemmeno la peggiore. Ciò che manca, a mio avviso, affinché possa diventare una bella classica come le altre presenti a Biddiriscottai, sono un paio di giorni di pulizia sia dalla vegetazione che dalla terra, ed una “ammorbidita” alle prese necessarie per i passi chiave (la roccia è assolutamente abrasiva). Ciò detto, difficilmente ci troverete la fila e l’ambiente è assolutamente suggestivo ed isolato, con una roccia che riserva un grip assoluto. Buona alternativa se trovate la fila sulla vicina “L’alchimista” e non volete perdere la giornata.
La via è attrezzata a fittoni resinati in titanio; tutte le soste sono su due punti da collegare, tranne quella del primo tiro che è su un punto solo.
VITTORIO TITANE 205 m, 6c max, 6b obb., S2, II. Scogliera di Biddiriscottai, Cala Gonone – Sardegna
ACCESSO: stesso parcheggio di Millennium, si procede lungo la sterrata, si supera il bivio per la grotta di Millennium e dopo circa 15’ di cammino si trova pietra con inciso il nome della via, sulla dx. Si lascia quindi la sterrata ed in poche decine di metri si reperisce la prima sosta di calata sul bordo più verticale della scogliera.
DISCESA: tre corde doppie lungo la via e tre fuori linea: quinta sosta in placca su comoda cengetta, sesta in prossimità di un diedro. Sufficiente una corda da 70m.
AVVICINAMENTO
Dall’ultima doppia spostarsi una trentina di metri a sinistra (guardando la parete) seguendo una traccia abbastanza marcata che costeggia la roccia. Il primo fittone è sul margine destro di una specie di grande scudo di roccia bianca, a sinistra di un alberello (foto)
RELAZIONE (ripetizione del 29/9/2024)
L1: 5b,45m Si attacca il muro passando a sx di un folto cespuglio (primo resinato alto e poco visibile, vedere foto), ancora in leggera diagonale a sx seguendo la roccia sgombra da vegetazione (protezioni distanti). Poi dritti ad intercettare una rampa obliqua da sx a dx. Percorrerla tutta fino ad un piccolo spiazzo dove si sosta su singolo fittone. Nota: gestire gli attriti allungando i rinvii.
L2: 5c,40m. Si traversa a dx fino ad un alberello con cordone, lo si supera e poi subito dritti su placca seguendo le protezioni (poco visibili) si perviene ad una sosta con due resinati da collegare.
L3 6a+, 35m. Si prende una fessura disturbata da vegetazione e la si segue, ci si sposta a dx su roccia lavorata a canne e si inizia un traverso quasi orizzontale; si supera un grosso cespuglio (attenzione!) sopra il quale vi è un fittone con lungo cordone. Ancora in orizzontale a dx a reperire una delle soste di calata.
L4 6c, 30m Appena a dx, poi dritti si supera con un boulder un primo passo, si prosegue dritti, poi in traverso a dx (passo chiave) si scavalca una specie di costola e poi in sosta.
L5 6c, 30m A sx, si supera un primo boulder, ancora in leggero diagonale a sx poi dritti ad un passaggio di equilibrio, infine ancora un po a sx si supera un piccolo tratto aggettante e si sosta.
L6, 5b, 25m Per facili risalti si esce sul ciglio della parete.
Nuove calate seconda spalla, parete NE – Corno Piccolo, Gran Sasso
Da qualche giorno sono operative nuove soste di calata dalla parete NE della Seconda Spalla del Corno Piccolo. Era ormai tempo di dare una sistemata alla linea di calate presente su questo versante, soprattutto perché tante cordate adoperano soste di progressione di vie presenti in parete; queste ultime sono di solito su chiodi e clessidre collegate da cordoni (sempre più cordoni che si aggiungono a cordoni..) che versano in cattivo stato.
Ho cercato di realizzare un lavoro che fosse il più possibile duraturo e sfruttabile con diverse lunghezze di corda. Il materiale utilizzato sono fittoni resinati inox 316L da 14mm e resina epossidica pura; i due fittoni resinati sono collegati in serie da un cordone (attualmente verde), il punto basso è dotato di anello di calata. E’ possibile effettuare le calate con corda singola da 60m (4 calate) oppure con una coppia di mezze da 60m (2 calate). Nel primo caso prestare molta attenzione perché le prime due doppie sono “al pelo” (nodi ai capi consigliati!)
CONSIGLI PER L’USO
Prima delle note tecniche vorrei dare qualche indicazione generale sulla discesa da una delle pareti più frequentate del Gran Sasso: l’aumento costante di praticanti pone sempre più problemi di sicurezza e di sovraffollamento (le due cose sono spesso legate).
- Formarsi correttamente sulle manovre di corda doppia che resta pur sempre una tecnica “delicata” e addestrarsi a tempi di esecuzione che non siano geologici: spesso ci sono altre cordate che devono aspettare le lungaggini di cordate impreparate..
- Preferire sempre calate corte a dubbie calate lunghe, per ridurre sia le possibilità di incastro che gli attriti nel recupero delle corde.
- Preferire sempre la discesa a piedi alla discesa in doppia; quindi nel caso specifico scendere lungo il Canale Bonacossa che prevede qualche passo di III generalmente coadiuvato da corde fisse.
- Per le cordate provenienti dalla parete N sarebbe auspicabile NON scendere sulle linee di salita, ma raggiungere la cresta e scegliere la calata in doppia dal versante NE o la discesa a piedi dal canale, al fine di non intralciare le cordate ancora impegnate nella salita.
DISCESA VERSANTE NE
Per reperire la prima calata bisogna dalla cresta muoversi verso N e prima che inizi a degradare abbassarsi su una piccola cengia verso NE dove è presente la prima comoda sosta. Per chi esce dalle vie Vecchiaccio, Aquilotti 72, Placche del Totem del versante SO, la sosta di calata è 4m a sx dell’uscita in cresta (faccia a monte). Le soste sono tutte a fittoni resinati Climbing Technology con anello di calata sul punto inferiore.
Da C1 a C2: 30m!
Da C2 a C3: 29m! (in leggero obliquo a dx faccia a valle)
Da C3 a C4: 25m (in leggero obliquo a dx faccia a valle)
Da C4 al canale: 30m (oppure 15m e si arriva su comoda cengia)
Ringrazio Corrado Vaccaro ed Alessio Nunziata per il supporto logistico; Lorenzo di Tullio, Luigi Ciano, Mirco Di Girolamo, Giampiero Continenza, Alessio Angeloni per il supporto economico nell’acquisto del materiale d’armo.
Riccardo Quaranta – Guida Alpina UIAGM
Calate “Punta dei due” – Fiamme di Pietra – Corno Piccolo
La Punta dei Due è una delle guglie che costituiscono il complesso di pinnacoli noto come “Fiamme di Pietra”, nella propaggine sud del massiccio del Corno Piccolo, sul Gran Sasso.
Diversi e sempre interessanti sono i tracciati alpinistici che terminano su questa cima: la famosa via “Gervasutti” oppure la bella e panoramica cresta sud-ovest alle Fiamme, tanto per citarne alcuni.
Dato che è uno dei settori con avvicinamento maggiore, ho pensato potesse fare comodo integrare le soste per le doppie già presenti con altre soste che consentono ora di scendere anche con corda di 50m; questo sia per risparmiare peso durante l’avvicinamento, sia per ridurre la possibilità di incastro. Queste soste possono tornare utili anche a chi percorre la via Chiaraviglio-Berthelet al “contrario” e voglia adoperare una corda da 50m per scendere sul versante sud delle Fiamme.
Le soste aggiunte sono a fix inox 316L da 8mm
Di seguito prima una descrizione testuale e poi le foto descrittive.
Dalla Punta dei Due si reperisce una sosta a fix sul versante Est (ce ne sono due, ma da entrambe è possibile calarsi con corda da 50m)
Dalla sosta a cui si perviene (è posta lungo l’ultimo tiro della via “Perdenti nati”) con un’altra calata si raggiunge il balcone della Chiaraviglio. Da qui a piedi ci si sposta a dx (faccia a valle) lungo facile cengia e si reperisce la sosta a fix posta al termine del camino della Chiaraviglio.
Da questa con una calata di 23m circa fino alla base del camino (sosta su due fix 8mm collegati)
Dalla precedente con una calata di 25m (attenzione!) fino ad un comodo ripiano con blocchi incastrati intercettando la linea della Gervasutti. Da qui due opzioni: o ultima calata su cordone blu su blocco o disarrampicando (passo di III) fino alla base lato vallone dei Ginepri.
Grazie a chi mi supporta da tempo: Climbing technology – Campo Base Outdoor – Parbat
“Quaranta giorni all’Alba” – Timpa di Porace, Parco del Pollino
TIMPA DI PORACE 1423 m – PARETE SO
“Quaranta giorni all’Alba”
Il tempo vola e non ce ne accorgiamo, questo è il problema. Quando lo facciamo è tardi e non resta che il rimpianto. Quando ho interrogato con il classico “cerca” il mio hard disk ed è uscita la cartella con il nome “40_giorni_alba” (in classica sintesi informatica..) sono andato a vedere l’anno in cui era collocata..e quando ho letto “2015” quasi non ci volevo credere. “Sì sono trascorsi nove anni Riccà e la tua barba era ancora tutta nera..” mi sono risposto; sono rimasto quasi sconvolto, lo ammetto o semplicemente ho accusato il colpo. Quale? Di questa ruota inesorabile che gira e si chiama tempo e con essa le persone che incrociamo nelle nostre vite, i luoghi con cui entriamo in contatto, che diventano sempre parte del mio animo. Questi del racconto sono posti di una bellezza struggente che non possono non lasciare traccia negli animi sensibili.
Timpa di Porace è uno dei luoghi dove si è sviluppato l’alpinismo in terra calabrese, meritandosi giustamente fama di luogo degno da visitare. Fosse anche per una semplice passeggiata non potrà non incantare. Così è stato per me quando le prime volte ho iniziato a ripetere le diverse vie di roccia presenti sulle sue pareti. Sia il lavoro che la semplice passione mi hanno portato in contatto con Luca, con il quale ho condiviso tante giornate di libertà ad esplorare e percorrere angoli sempre suggestivi. E’ stato proprio in occasione di una mia trasferta di lavoro che gli proposi di andare ad aprire una via proprio a Porace.. lui fu subito entusiasta e mi suggerì l’estremo margine destro della parete SO come possibile teatro d’azione.
In quella splendida giornata di novembre del 2015 vivemmo le belle emozioni che si provano quando si salgono terreni vergini, con tutti i dubbi e le incognite che le aperture comportano ma che al contempo rappresentano anche il carburante per la nostra passione. Tutto andò bene e rimanemmo soddisfatti della linea tranne che del primo tiro, dove io scelsi una linea di fessure con roccia rotta e dall’arrampicata non entusiasmante. Quindi ci promettemmo di tornare insieme per cercare una linea che fosse più all’altezza del prosieguo, magari da aprire in occasione della prima ripetizione.
Beh il primo a stentare a crederci sono stato proprio io quando ho scoperto che sarebbero dovuti trascorrere 9 anni per “rifinire” il lavoro. L’occasione si è presentata grazie a un giro lavorativo al sud ma anche la voglia di chiudere quel progetto è tornata a bussare alla mia porta. Questa volta accanto a me c’è Corrado che ha accettato di accompagnarmi anche sapendo che non sarebbe stata proprio una passeggiata. Luca, oggi marito e papà, non è potuto essere dei nostri, ma mi è stato accanto metaforicamente durante tutta la giornata. Il cerchio si è finalmente chiuso e sono contento di averlo fatto con due persone care per me.
Spero questo piccolo itinerario possa aggiungersi ai tanti che meritano una visita in questo luogo. Di sicuro ha reso felici due giornate vissute all’insegna della libertà e della sana passione!
Riccardo Quaranta – Guida Alpina UIAGM
Grazie a Campo Base Outdoor Roma – Parbat Design per il supporto
Canale “Cambiamenti Climatici” Anticima N Monte Miletto – Monti del Matese
Quella che si sta concludendo passerà alla storia come una delle peggiori stagioni invernali che l’Italia abbia vissuto. Ma il peggio potrebbe dover ancora arrivare, di questo sono purtroppo convinto; abbiamo superato il punto di non ritorno e il riscaldamento globale è una realtà sotto gli occhi di tutti. Nonostante ciò qualcuno continua ancora a negare dati oggettivamente ineludibili, negare stravolgimenti di temperature e precipitazioni modificate radicalmente nel solo giro di una decina di anni. Da amanti della montagna guardiamo cime spoglie e prati in quota aridi, dove solo pochi anni fa, nel medesimo periodo, il bianco la faceva da padrone. Usciamo dai nostri interessi, che siano essi di passione, di lavoro, o entrambi come nel caso di chi scrive; riflettiamo in modo globale, pensiamo che stiamo perdendo una delle risorse principali, l’acqua. Pensiamo che le future generazioni, ma già banalmente un adolescente attuale, non vedrà più paesaggi che fino a 15-20 anni fa’ sono stati la quotidianità per chi viveva o andava in montagna. Cancellati, per sempre. Ed oltre a pensare, agiamo. Agiamo nelle nostre scelte quotidiane, nel preservare tutto ciò che la natura ci ha donato; agiamo nei consumi, riducendoli. Partiamo da quello che possiamo fare nel nostro quotidiano, anche se poco, agiamo nel rispetto e in un’ottica di preservare quel poco che resta.
L’itinerario che vado a descrivere è un urlo disperato della montagna. Perché sostanzialmente non esisteva, non era altro che un pendio nevoso, dove la dama bianca, già in stagione non troppo inoltrata, colmava i salti più ripidi, uniformando tutto. Tanto che a memoria ricordo tracce di sci scesi per quel canale. Oggi quel canale è “sbarrato” alla base da un muretto di una decina di metri, poco meno che verticali: la neve ha lasciato posto alla roccia. Come ogni colatoio che si rispetti, con giuste condizioni, quel muro si riveste di ghiaccio, così come l’ho trovato io la giornata che ho deciso di salirlo slegato. Niente di nuovo quindi, nessuna apertura, solo la montagna messa – ahimè – tristemente a nudo. Il piacere che la scalata mi ha dato è stato costantemente intriso di una vena malinconica, che mi ha accompagnato fino in cima, ed ancora in auto rientrando a casa.
Sia un monito per tutti noi: a volte possiamo scalare su ferite di cui le “nostre” cime farebbero sicuramente a meno.
“Hysteria” nuova multipitch alla Rocca di Oratino, Campobasso
A volte le necessità arrivano prima delle realizzazioni. Cosa significa? Significa che in certi periodi della vita di chi si dedica a pareti e montagne, come me, arrivano esigenze, volontà che devono essere soddisfatte. In questo caso si tratta della voglia di trascorrere giornate da solo, aprendo sulla parete di casa, in autoassicurazione dal basso. Ecco, l’esigenza di ri-confrontarmi con me stesso e solo con me, può essere la molla che mi ha spinto nella genesi di “Hysteria”. La stessa voglia di solitudine e di confronto con me stesso è rimasta quando ho deciso di fare la prima ripetizione della via e di farla da solo e di cercare di realizzarla in libera. Ecco quindi che tutto deve essere allineato: volontà, allenamento, tecnica, tempo (sia metereologico che cronologico). Mi sento pronto e mi piace l’idea di una prima RP auto-assicurata. Tutto per fortuna fila liscio e la Rocca mi regala un ennesimo tramonto, di quelli frizzanti ma pieni di rosso. Riesco anche nella libera e questo mi fa gioire perché è uno stile più difficile che andare in due. E mi riesce al primo giro.
“Hysteria” è un omaggio ai Def Leppard ma anche ai miei umori sempre altalenanti. E’ una sfida ad una parete rossastra, ad una serie di pance che si susseguono a tentare di sbarrare la strada ai ficcanaso come me, agli astronauti verticali che immaginano, dietro ogni tiro, il “viaggio” della propria vita verticale.
Buone scalate e buona vita!
P.S. grazie a chi mi sostiene da sempre: Climbing Technology & Campo Base Outdoor Roma
Riccardo Quaranta
Scarica la relazione di “Hysteria”
Febbre da Cavallo 2024
Corso arrampicata Sardegna: il video!
“SPLEEN ET IDÉAL” – CORNO PICCOLO, SECONDA SPALLA – RELAZIONE
La stagione lavorativa estiva lentamente sta volgendo al termine, anche se le belle giornate continuano ad invogliare appassionati a trascorrere tempo in montagna. Quindi il lavoro non manca, nonostante siamo già a metà settembre.
Decido di prendermi una giornata di stacco, che poi stacco non è..alla fine i giorni che dedico “a me” sono sostanzialmente giorni verticali. Quindi “l’ufficio” resta sempre quello, la montagna!
Trovare qualcuno libero il lunedì, ed in generale giorni feriali, non è facile.. soprattutto perché non ho mai amato legarmi con chiunque capitasse.. per me è sempre stato più importante il rapporto di amicizia e rispetto piuttosto che la giornata da trascorrere scalando. Con gioia Simone mi dice di essere libero anche lui e dopo una telefonata decidiamo di andare a ficcare il naso su uno dei pochi itinerari che ancora non ho salito alle Spalle del Corno Piccolo, “Spleen et idéal”, sulla Seconda Spalla Ovest.
Alla fine di quella che è stata una giornata comunque intensa, ci ritroviamo io e Simone in cima alla Seconda Spalla soddisfatti e piacevolmente colpiti (in positivo) dalla qualità dell’itinerario. Visto che diverse relazioni cartacee consultate contengono pesanti inesattezze (ben due guide riportano uno spit che non esiste, per esempio..), decido di scriverne una aggiornata che possa essere di supporto a chi vorrà cimentarsi in una ripetizione.
Qui qualche considerazione che spero possa tornare utile. La via è molto bella ed è alla stregua di tante altre vie divenute delle classiche (come “Icosaedro” o “Zarathustra”): contiene un mix di stili di scalata assolutamente vario, dalla placca, al muro a buchi, alle fessure della parte alta. Quindi un bel test di arrampicata poliedrica. Il materiale presente in via è poco e questo probabilmente ha contribuito alle poche ripetizioni di cui ho notizia; a questo si aggiunge che quello presente è poco visibile (diversi chiodi e clessidre che non hanno cordino). Quindi non è facile orientarsi ed a volte si spera di aver preso la “strada giusta”; il tutto rende l’impegno mentale importante, se si considerano anche diversi run-out non evitabili. Ecco, se si ha voglia di mettersi alla prova su un terreno poco battuto, su roccia stupenda, questa può essere la via giusta.
A margine ritengo che una via bella ed impegnativa come questa meriterebbe un piccolo restauro conservativo; almeno andrebbero sostituiti i vecchi spit 8mm e ri-attrezzate le clessidre, molte delle quali attualmente risultano senza cordini e quindi poco visibili. Magari se questo articolo capitasse sotto gli occhi degli apritori potrebbe essere uno spunto per un contatto ed un confronto circa questa possibilità (io farei volentieri il lavoro).
Grazie a Simone per aver condiviso con me una giornata tutt’altro che malinconica!
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AGGIORNAMENTO 2024
Beh questa storia ha avuto un piacevole sviluppo e sono assai felice di poter scrivere qualche riga qui. Dopo la nostra ripetizione del settembre 2023 sono stato contattato da Marco Zitti, uno degli apritori. Marco si è subito detto entusiasta della possibilità di restaurare l’itinerario, dandomi carta bianca. Inoltre ha arricchito il nostro scambio di messaggi con piacevoli ricordi dell’apertura. Ma la stagione volgeva al termine ed ho aspettato quella dell’estate in corso (2024) per dare forma al progetto.
Fin dall’inizio l’idea è stata quella di fare un “semplice” lavoro di restauro, senza apportare modifiche al numero e al posizionamento delle protezioni fisse presenti (spit 8mm), col fine di conservare lo spirito con cui la salita è stata affrontata dagli apritori. Poi ho meditato sul materiale da usare e qui ho voglia di aprire una piccola parentesi, sperando di non annoiare.
La parentesi riguarda proprio i lavori di richiodatura, siano essi in quota o in falesia. La roccia non è infinita e non lo sono nemmeno le porzioni di roccia adatte ad ospitare la nuova protezione che sostituisce quella invecchiata. La longevità di un ancoraggio cresce di almeno 15-20 anni se si passa da un materiale zincato ad uno inox, ancora di più se di tipo 316L. Se si passa ad ancoraggi resinati in inox 316L tale longevità aumenta diventando il top. Il resinato evita anche tristi sorprese di trovare, ad esempio, una o più piastrine mancanti in itinerari in quota (per i più curiosi Michele Piolà, non uno sprovveduto, ha scritto diversi post sul tema..). Il concetto è che se richiodo con materiale scadente, tale lavoro durerà di meno e sarà presto necessario un nuovo lavoro.. ma alla fine la porzione di roccia per posizionare il nuovo ancoraggio correttamente si esaurisce. Ragioniamo non in ottica della nostra vita, ma anche in ottica delle future generazioni verso le quali dovremmo avere molto più rispetto di quanto ne abbiamo avuto finora. Morale della favola (una morale personale, ma sposata da gran parte della comunità di grandi apritori e chiodatori): se vogliamo fare un lavoro di ristrutturazione facciamolo bene, altrimenti è quasi meglio non farlo affatto.
E’ in questa ottica che ho impostato il lavoro su “Spleen”. I materiali utilizzati sono stati fittoni Climbing Technology di 12mm in acciaio inox 316L e resina epossidica pura. Questa scelta ha determinato una logistica ed una mole di lavoro ben superiore a quella necessaria se si fosse utilizzato un ancoraggio meccanico, ma credo che ne sia valsa decisamente la pena. Oltre alla sostituzione delle soste e degli spit con resinati, abbiamo anche reso più visibili i chiodi aggiungendo dei cordini e attrezzato con cordoni le clessidre in maniera che il tracciato fosse più intuibile. Il tutto ci ha impegnato per due giornate. Per i benpensanti “eh ma tanto ci portate i clienti” vorrei rispondere: a) ne avessimo di clienti che girano su quelle difficoltà b) 2 giornate guida moltiplicate per due persone fanno 1200 euro, 10 resinati costano almeno 60-70 euro, 30 euro per una cartuccia di resina epoxi, benzina ecc… ci si rende forse conto che una frase del genere non ha alcun senso.
Siamo stati semplicemente felici e soddisfatti di aver dato nuovo splendore (mai termine fu più azzeccato) ad una via che merita e che ora può essere percorsa da tutti gli appassionati con qualche garanzia in più. L’impegno complessivo, ricordo, resta sempre da non sottovalutare perché non sono state aggiunte protezioni oltre quelle lasciate in apertura.
RINGRAZIMENTI
Il primo ringraziamento lo devo al mio fratellone e collega Alessio Nunziata che mi ha affiancato per due giorni in parete. Per un lavoro del genere è stato fondamentale poter fare affidamento su di lui che ha curato tutta la parte di salita da primo in entrambe le giornate e mi ha potuto far concentrare sul lavoro da svolgere in parete; è stato il mio angelo custode e per la sua sempre infinita disponibilità ogni ringraziamento è riduttivo. Il secondo ringraziamento lo devo a chi mi sostiene materialmente da anni, ovvero Campo Base Outdoor Roma e Climbing Technology. Il terzo ed ultimo va ai gestori degli impianti di Prati di Tivo (https://www.pdtx.it) che ci hanno prontamente sostenuto nella logistica delle due giornate.
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Ringrazio al solito Climbing Technology e Campo Base Outdoor Roma per il supporto.
“Senza tamburi, senza musica, sfilano funerali
a lungo, lentamente, nel mio cuore: la Speranza,
Vinta, piange, e l’Angoscia atroce, dispotica,
pianta, nel mio cranio riverso, il suo vessillo nero”
C. Baudelaire