Una giornata fortunata

Una volta un istruttore ci disse “ragazzi oltre a preparazione e capacità di vario genere in montagna serve sempre un’altra cosa: un po’ di sano culo”. Chi arrampica e va in montagna da un po’ credo che abbia verificato l’importanza della fortuna almeno in un caso; se così non fosse significa che ne avete davvero tanta!

Questa non vuole essere la storiella da leggere in tre minuti per ammazzare la noia, ma qualcosa di più. Vuole essere un racconto, tratto da una storia vera in cui sono il fortunato protagonista, che possa far nascere nel lettore qualche domanda circa i propri comportamenti. In montagna, in falesia, nel terreno d’avventura che preferite o forse anche nella vita di tutti i giorni.

La falesia di “Morgia Quadra” a Frosolone, Molise

Troppo spesso si mostra ciò che ha avuto un bel finale, la giornata perfetta dove abbiamo realizzato il nostro piccolo-grande sogno, dove ci sentiamo soddisfatti e pronti a mostrare agli altri  quanto siamo bravi, forti e belli. Rarissimamente comunichiamo quando abbiamo fatto una “cazzata” (passatemi il termine un po’ forte, vi prego). Anzi i nostri errori sono trattati sempre con grande reticenza, i primi a non volerli vedere, a volerli levare subito dalla testa e dai ricordi, siamo noi. Figuriamoci se ne vogliamo parlare in pubblico. Ancor di più se la nostra è una “fama” di esperti e navigati del mondo della montagna. 

Vedete questo è un grande errore che commettiamo quasi quotidianamente; è un comportamento sbagliato perché condividere un errore può aiutare altri a non caderci. Invece pensiamo solo a noi stessi, pensiamo a “che figura ci faccio se lo racconto a tutti?!?!”. Sbaglio o almeno una volta vi è capitato di agire così?

La falesia di Morgia Quadra, Frosolone, Molise

Bene, questa storia la racconto spesso nei miei corsi di arrampicata sportiva, soprattutto quando esce fuori il discorso “attrezzo da utilizzare per fare sicura”. Sì perché lo strumento protagonista, insieme al sottoscritto, ad un mio compagno di arrampicata e ad una corda, è un freno. Il mio compagno di arrampicata si chiamerà Bob, nome di fantasia.

Siamo nei primissimi anni 2000 ed io arrampico da qualche anno: entusiasmo enorme del ventenne, energie a profusione, un mondo – quello della scalata – che mi fornisce tanta adrenalina e voglia di superare limiti. I compagni di arrampicata, tuttavia, sono inversamente proporzionali al mio entusiasmo: sempre pochi ed altalenanti, conciliare poi le varie esigenze di impegni è altrettanto difficile. Quindi spesso mi accontento di prendere persone che hanno mostrato anche un solo timido interesse per l’arrampicata e le porto con me. Spiego loro al volo la gestione dei freni e si arrampica: io da primo e loro da secondi a provare i tiri. Alcuni, come Bob, si appassionano e iniziano a comprare i primi materiali per essere pronti alla prossima chiamata; lui a volte va anche da solo montando la corda dall’alto e facendosi auto-sicura con uno scintillante Gri-gri. 

Falesia di Morgia Quadra, Frosolone. E’ estate, io ho da poco attrezzato un nuovo tiro; si chiama “Cariocinesi”, per me è stata una delle prime vie di quella difficoltà che mi sono “permesso” di attrezzare. Quella linea mi aveva fatto sognare, incantato da un tetto finale, quasi orizzontale, che mi ricordava una foto di una via famosa negli Arapiles, in Australia (“Kachoong”), foto sulla quale la mia fantasia aveva viaggiato non poco. Chiedo a Bob se gli andasse di farmi sicura per provare il tiro, volevo cercare di liberarlo, ancora il passaggio sotto il tetto mi respingeva. 

Il tetto di “Cariocinesi” nella falesia di Morgia Quadra. Foto di L. Baratta

Bob ovviamente entusiasta; gli dico “fai sicura con il Gri-gri visto che lo stai usando da un po’ e io sono anche più tranquillo se dovessi volare”. Venivamo dall’uso di secchielli e – udite udite – mezzo barcaiolo; quindi l’essere entrati in possesso di quel nuovo strumento ci conferisce una sorta di invincibilità ed enorme fiducia che nulla possa accadere.

Ci controlliamo a vicenda, lui il mio nodo, io che la sua corda sia passata correttamente nel freno; check rinvii, smagnesata ed ok si parte. Supero il primo boulder, poi una più facile sezione di placca che conduce sotto un bel tetto quasi orizzontale di un paio di metri. Riposo quel che riesco, poi lo avviso che sto andando: via verso il passaggio chiave che è proprio sotto il tetto. A proteggere il passo c’è un rinvio posto a metà dello strapiombo, di modo che un eventuale volo conduca lo scalatore a cadere nel vuoto. Imposto il movimento, supero il boulder ed arrivo al margine del tetto. Ora devo ribaltarmi, ma ho perso troppe energie sotto e le mani si aprono. Credo di aver urlato un “voloooo” come sempre; quindi mi stacco ed inizio il viaggio verso il vuoto. Mi passa davanti l’ultimo rinvio moschettonato, poi anche il penultimo; poi anche il terzultimo ed inizio a pensare che qualcosa non va. Mentre mi scorre avanti la sezione di placca, il tutto ad una velocità assurda, l’unica cosa che riesco ad urlare è “bloccaaaaaaaaaa” ad un volume che credo mi abbiano sentito sulla costa. Finalmente, a 3 metri da terra, dopo un volo di circa 12m, la corda si arresta di colpo ed io con lei. Il fatto di esser volato sul rinvio sotto il tetto ha impedito che urtassi contro la parete appena scalata. Forse il problema sarebbe stato se avessi toccato terra…

Bob mi cala lentamente a terra. Non ricordo se fosse più stravolto il mio o il suo viso. Dopo aver riattivato la salivazione, gli chiedo “ma perché non mi hai bloccato???” e lui “Riccardo ho fatto una cazzata: vedendoti volare mi sono impaurito ed ho bloccato con la mano la camma del Gri-gri, levandola solo quando tu mi hai urlato blocca”. Intanto l’altra mano di Bob è ustionata dalla corda che è scorsa velocemente. Corda che ha preso tanta velocità durante il volo e che il bloccaggio repentino del freno (nel momento in cui Bob ha tolto la mano) ha “scamiciato”. Significa che la leva che la blocca contro la parte metallica del freno, ne ha anche lesionato la porzione esterna (la calza). Ma la corda nel suo complesso ha tenuto, per fortuna. Ancora questa fortuna, per la quale sono qui ancora a scrivere. 

Bob è ovviamente mortificato; io ho un misto di rabbia verso di lui, ma anche di gratitudine per avere alla fine fatto qualcosa per salvarmi la vita, credo.

Il tempo trascorre e con esso sono tornato dopo qualche anno e tante altre esperienze a valutare con occhi diversi quella giornata. Dalla rabbia iniziale verso Bob, la rabbia ed il rancore si sono spostati verso me stesso. 

L’errore non è stato commesso da Bob, bensì l’errore l’ho commesso io quando mi sono affidato a lui, considerandolo capace di gestire una situazione delicata come un volo e saperlo fare con quello strumento, senza averlo prima testato in una situazione “controllata”. L’entusiasmo, la passione travolgente mi aveva fatto perdere di vista cose ben più importanti; la ridotta capacità di analisi di un ragazzo non aveva contemplato la variabile “capacità dell’assicuratore in una situazione nuova”, come un volo sotto un tetto…non un semplice “blocca che non riesco ad andare oltre lo spit”. Essermi affidato ciecamente senza aver considerato la possibilità che lui non fosse in grado di farlo con sufficiente sicurezza.

Allora di questo aneddoto che analisi faccio oggi, con 20 anni di arrampicata alle spalle e forse con un po’ di vicende viste sulla mia pelle e girando fra falesie e montagne? 

Primo, che il mondo del verticale è pieno di persone che sbagliano, ma invece di analizzare in profondità l’errore si limitano ad attribuirlo al/i compagno/i di cordata: “tu non sai fare questo”, “ma perché non mi blocchi così”, “ma perché non ti sbrighi, a che ora vogliamo uscire dalla via?”. Ne avete mai sentite o vissute? Bene, chiediamoci ogni volta che ci sentiamo vittima di ciò che ci sta accadendo se non ne siamo anche parte o addirittura i principali artefici. Portare la ragazza a scalare e pretendere che faccia tutti i tiri che saliamo noi o che non entri nel primo rinvio della via al primo nostro volo non è colpa della malcapitata, forse è colpa nostra. E questo è uno dei tanti esempi che posso fornire, ma sono sicuro che ognuno dei lettori ne abbia sentiti, visti o vissuti a sufficienza. 

Secondo, che non esiste un freno più sicuro di un altro. E’ un concetto che non mi stanco mai di ripetere. Esistono comportamenti/scelte sicuri e comportamenti/scelte non sicuri. I freni sul mercato, a meno che ad un certo punto non vengano ritirati da questo, sono tutti sicuri. E’ l’uso che se ne fa a determinarne l’effettiva sicurezza. Come medesima attenzione (ed aggiungo formazione, allenamento, pratica) deve essere dedicata a freni semi-automatici (Gri-Gri, Vergo, Bird ecc.) rispetto ai freni dinamici (secchiello, Reverso, ATC, BeUp, ecc.). E non mi venite a dire che nel primo caso “eh ma almeno bloccano la corda se l’assicuratore molla tutto”. Non è vero prima di tutto perché l’episodio che vi ho narrato lo dimostra. Secondo perché anche se così fosse, molto probabilmente il vostro assicuratore, soprattutto se pesa meno di voi, diventa un ologramma stampato sulla parete. Questo sarebbe un ennesimo gesto di egoismo: io mi salvo , di lui/lei non mi importa niente.

La corda lesionata durante il volo

Terzo, che le corde non sono indistruttibili. La corda rappresenta un elemento fondamentale della catena di assicurazione che spesso viene sottovalutato. Avere una corda in buono stato, con calza non consumata, di un diametro sufficiente, rappresenta un ottimo investimento sulla nostra salute. Anche in falesia, dove potremmo credere che niente possa accadere alla corda, essendo un ambiente “protetto.. altra falsa credenza. Eppure di “canaponi” a persone che arrampicano da primi ne ho visti e continuo a vederne. Spero che anche la foto sopra faccia riflettere.  

Quarto, se non l’avete in dote naturale, di procuravi una buona fornitura di sana “fortuna”.

Buona giornata e buone feste!

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6 Comments

  1. Pat Rispondi

    Bella storia 😂… mi hai fatto venire in mente qualche episodio 😅

  2. Pat Rispondi

    Bella storia 😅… mi hai fatto venire in mente qualche episodio 😅… oltre al riflettere molto 👋🏻

    • Riccardo Quaranta Rispondi

      Certo che ti ho pensato Pat! Anche tu ne hai fatto uno lungo!!!

  3. Flavio Rispondi

    Un racconto significativo. Si cresce, si matura, ma soprattutto si diventa più sicuri e per fortuna si ha sempre meno timore di parlare anche degli errori fatti. Uno spunto di riflessione importante a vantaggio di tutti . Vent’anni fa abbiamo vissuto un periodo, un periodo molto diverso da oggi. Adesso è quasi surreale ascoltare qualcuno parlarne con toni quasi epici “sta cosa si usava vent’anni fa”. Come se avessimo acquisito una sorta di stagionatura, un invecchiamento sano che ci permette di dire “io già c’ero e per me arrampicata e montagna erano tutto”. Concordo, una buona dose di fortuna deve esserci sempre. Un riassunto importante, bisogna fare tutto il possibile per aiutare il fato, studiare, essere curiosi, porsi delle domande, chiedere, essere umili, ascoltare i consigli di un professionista, di gente esperta, dosare bene la paura che ti tiene vigile e attento … fatto questo, e tante altre cose, una dose di fattore “C” è sempre tanto, tanto utile.

  4. Lucio Rispondi

    Non l’avevo letta, sono d’accordo con te Riccardo, soprattutto nell’assegnare la colpa a sé stessi, se del gruppo si è quello più esperto. E di jolly nella mia vita di alpinista pippa, che dura da 40 anni, ne ho giocati parecchi!!!

    • Riccardo Quaranta Rispondi

      l’importante, se si ha la fortuna di sopravvivere, è di fare tesoro!

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