Quella che si sta concludendo passerà alla storia come una delle peggiori stagioni invernali che l’Italia abbia vissuto. Ma il peggio potrebbe dover ancora arrivare, di questo sono purtroppo convinto; abbiamo superato il punto di non ritorno e il riscaldamento globale è una realtà sotto gli occhi di tutti. Nonostante ciò qualcuno continua ancora a negare dati oggettivamente ineludibili, negare stravolgimenti di temperature e precipitazioni modificate radicalmente nel solo giro di una decina di anni. Da amanti della montagna guardiamo cime spoglie e prati in quota aridi, dove solo pochi anni fa, nel medesimo periodo, il bianco la faceva da padrone. Usciamo dai nostri interessi, che siano essi di passione, di lavoro, o entrambi come nel caso di chi scrive; riflettiamo in modo globale, pensiamo che stiamo perdendo una delle risorse principali, l’acqua. Pensiamo che le future generazioni, ma già banalmente un adolescente attuale, non vedrà più paesaggi che fino a 15-20 anni fa’ sono stati la quotidianità per chi viveva o andava in montagna. Cancellati, per sempre. Ed oltre a pensare, agiamo. Agiamo nelle nostre scelte quotidiane, nel preservare tutto ciò che la natura ci ha donato; agiamo nei consumi, riducendoli. Partiamo da quello che possiamo fare nel nostro quotidiano, anche se poco, agiamo nel rispetto e in un’ottica di preservare quel poco che resta.
L’itinerario che vado a descrivere è un urlo disperato della montagna. Perché sostanzialmente non esisteva, non era altro che un pendio nevoso, dove la dama bianca, già in stagione non troppo inoltrata, colmava i salti più ripidi, uniformando tutto. Tanto che a memoria ricordo tracce di sci scesi per quel canale. Oggi quel canale è “sbarrato” alla base da un muretto di una decina di metri, poco meno che verticali: la neve ha lasciato posto alla roccia. Come ogni colatoio che si rispetti, con giuste condizioni, quel muro si riveste di ghiaccio, così come l’ho trovato io la giornata che ho deciso di salirlo slegato. Niente di nuovo quindi, nessuna apertura, solo la montagna messa – ahimè – tristemente a nudo. Il piacere che la scalata mi ha dato è stato costantemente intriso di una vena malinconica, che mi ha accompagnato fino in cima, ed ancora in auto rientrando a casa.
Sia un monito per tutti noi: a volte possiamo scalare su ferite di cui le “nostre” cime farebbero sicuramente a meno.